
Secondo le ultime rivelazioni del New York Times, la Russia di Putin è decisa nel voler vietare LinkedIn dal prossimo lunedi in seguito alla sentenza di un tribunale locale che ha trovato il social network per professionisti colpevole di aver violato le leggi sulla protezione dei dati personali.
Ma l’azienda si aspettava questo passo da parte del governo russo dopo l’approvazione, lo scorso settembre, di nuove regole che prevedono che i dati personali trasmessi dai residenti ai servizi on-line come anche LinkedIn, devono essere conservati in data center all’interno del paese.
Resta da vedere se il divieto avrà effetto: LinkedIn può presentare un ricorso contro la decisione della corte locale ed evitare di essere bloccato in tutto il paese.
NON SOLO RUSSIA:
Ma la Russia non è sola ad aver voluto un implementazione più rigida nell’ambito della protezione di dati personali: recentemente anche la Germania ha imposto leggi simili che richiedono alle aziende di archiviare i dati ‘localmente’. In risposta alle nuove leggi tedesche, Microsoft aveva creato un nuovissimo Data Center lo scorso anno scorso.
WHY LINKEDIN?
Vi starete chiedendo perché attaccare solo LinkedIn? La possibile risposta sta nei numeri: la user base del social per professionisti, conta appena 5 milioni di iscritti in Russia. Basti pensare che Twitter e Facebook hanno scelto di non ‘memorizzare’ e conservare i dati degli utenti russi in un centro dati locale ma in quanto pesci sicuramente più grandi, ancora non sono stati coinvolti nel ban decido dalla corte locale. E’ stato più che altro un avvertimento, in modo da mettere tutte le aziende tech che operano in Russia sull’attenti.
PERCHÉ DATA CENTER LOCALI?
Non è un problema di logistica ma più che altro una ‘noia’ giuridico-istituzionale: procedere alla memorizzazione dei dati dei propri utenti in Data Center locali rende il lavoro delle aziende tech più difficile nell’ambito del passaggio di informazioni al governo russo sui propri utenti: è molto più facile essere costretti dal governo a consegnare informazioni sui proprio utenti, sia che si tratti di forze dell’ordine che di agenzie di intelligence governative.
Il tutto va a discapito del ‘rapporto di fiducia’ tra LinkedIn ed i suoi utenti, specialmente per quanto riguarda le sua politiche restrittive sulla privacy.